Il CAMBIAMENTO accompagna molte fasi della nostra vita in concomitanza con svolte cruciali (ad esempio in ambito sentimentale, lavorativo, nelle amicizie, ecc...) in tutto quello che sta fuori e dentro di noi.
C'è chi ama cambiare continuamente in un perenne trasformismo e chi invece, al contrario, rifugge il cambiamento, quasi fosse un salto nel buio che, una volta spiccato, non permette più di tornare indietro (forse per paura di andare in peggio).
C'è chi ama cambiare continuamente in un perenne trasformismo e chi invece, al contrario, rifugge il cambiamento, quasi fosse un salto nel buio che, una volta spiccato, non permette più di tornare indietro (forse per paura di andare in peggio).
Quanto a me potrei, in linea di massima, affermare di essere favorevole al cambiamento se si tratta di innovazione e miglioramento del mondo e della società, ma sfavorevole se inteso come riferito alla mia persona. Il mio "stile" è sempre più o meno lo stesso, indipendentemente dalle mode. Un modo di essere e di apparire solo mio, che mi fa sentire più sicura di fronte al mondo e agli sguardi degli altri. Se dovessi esprimere un desiderio riferito alla mia persona, infatti, non sarebbe "cambiare", quanto piuttosto "conservare" tutto così com'è, intatto, inalterato. (Qualche aggiustatina qua e là non guasterebbe..., ma solo a patto di non snaturare l'immagine nel suo insieme). Sarà la prova di un consolidato equilibrio con me stessa o sintomo di stasi bloccante?
A volte mi rendo conto che questo si riflette anche nella mia vita: quando si tratta di prendere decisioni importanti ed irreversibili, tendo a procrastinare sempre, di giorno in giorno, sperando sotto sotto che siano gli "eventi" a decidere per me, al posto mio. Quasi, forse, a non volermi assumere le responsabilità che ogni scelta inevitabilmente comporta.
A volte mi rendo conto che questo si riflette anche nella mia vita: quando si tratta di prendere decisioni importanti ed irreversibili, tendo a procrastinare sempre, di giorno in giorno, sperando sotto sotto che siano gli "eventi" a decidere per me, al posto mio. Quasi, forse, a non volermi assumere le responsabilità che ogni scelta inevitabilmente comporta.
Nel romanzo "DI NOI TRE" di Andrea De Carlo, ho trovato questo passaggio, perfettamente in linea con questa mia forma di "staticità":
"E' incredibile come finisci per entrare in un tipo di vita, tra i molti che avresti a disposizione, e da lì in poi tutto quello che fai succede in modo quasi automatico. Sei dentro un meccanismo altamente assistito, come il pilota di un aereo moderno che deve solo tenere d'occhio i computer di bordo e ascoltare i messaggi delle torri di controllo. Non devi fare più nessuna vera scelta che metta in discussione il percorso, devi solo valutare le opzioni che ti vengono proposte. Ci vuole una catastrofe o un miracolo, per venirne fuori".
Voi cosa ne pensate? E' più difficile cambiare o continuare a mantenere tutto immutato?
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